Sui teorici della “decrescita felice”

Scrivo questo post a seguito di una discussione con Uomo in Cammino sul sito di Pilger, e vedo che anche l’ottimo Fausto ha la sua opinione sull’argomento “crescita”.

Il motivo per cui lo scrivo è semplice: i teorici della “decrescita felice” stanno sbagliando strada, e mi preoccupano. Mi rendo conto che questo è un argomento sensibile perché impatta direttamente gli stili di vita delle persone, quindi mi serve almeno un post intero per fare chiarezza.

I teorici della decrescita felice partono da un assunto di base: siamo troppi, se fossimo di meno staremmo meglio. Il che messa così è incontestabile, peccato che poi la realtà come al solito sia più complessa e controintuitiva.

Se me la passate è come nei film di zombie: c’è un epidemia che di punto in bianco stermina il 99% della popolazione, e protagonisti / sopravvissuti, a parte qualche dettaglio tipo schivare i morsi e lottare per la vita, si godono gli spazi sterminati e i prodotti della civiltà finita: auto, benzina, cibo in scatola, e tutto il contenuto dei vari centri commerciali.

Poi di solito nei film finiscono tutti sbranati, ma cosa succederebbe se andassero avanti ancora? Ovvio: la benzina finirebbe, le medicine finirebbero, il cibo in scatola scadrebbe. I nostri sopravvissuti si troverebbero a dover ricostruire una dura civiltà contadina, senza trattori, concime, possibilità di costruire attrezzi di metallo. In un paio di generazioni si perderebbero tutte le conoscenze superiori, e si entrerebbe in un nuovo medioevo di fame e epidemie illuminato da qualche parte da un singolo manufatto, un pannello solare o un alternatore azionato da un mulino ad acqua, custoditi gelosamente con cura maniacale.

Ok, questo è un film di zombie, ma non sembra più così bello vero?

Ho notato che i nostri teorici della decrescita felice (non tutti ovviamente) hanno alcune caratteristiche comuni: odiano la vita affollata, amano la campagna, hanno un certo senso ecologista e non disprezzano la fatica muscolare. Queste sono tutte cose degnissime e condivisibili, lo è un po’ di meno pensare o desiderare che tutto il mondo si trasformi in una grande campagna. Se non altro perché la vita in città consuma molte meno risorse e spinge alla condivisione di spazio, infrastrutture, mezzi di trasporto etc, quindi paradossalmente chi ha una coscienza ecologica dovrebbe trasferirsi nella città più grossa e affollata possibile.

Sempre per paradossi, cos’è la decrescita felice? Mano consumi, meno cose, meno persone. Vita più dura, meno scelta, meno possibilità. Tutto questo è desiderabile? L’alternativa è davvero insostenibile come ci dicono?

Partiamo dalle basi: cos’è questa benedetta crescita? Non si può andare avanti senza introdurre il concetto di PIL (Prodotto Interno Lordo). Sono cose note su cui vado veloce, se avete dubbi controllate su Wikipedia.

Un giorno si decise di definire la ricchezza come “le cose che puoi fare”: quali servizi puoi ricevere, quali cose puoi avere, quali viaggi puoi fare. In una parola, i tuoi “consumi” (con tutte le connotazioni di questa parola).

La ricchezza si può misurare in vari punti: quando il soldino entra nel deposito di zio Paperone, quanti soldini ci sono nella pigna (stock), o quando finalmente vengono spesi liberando la “ricchezza” che contenevano. Per motivi di semplicità si è scelto di misurare quest’ultimo: francamente faccio fatica a pensare come la ricchezza “taglio di capelli dal barbiere” possa essere misurata prima di essere prodotta.

Il PIL ha subito un sacco di critiche, giù giù fino alle canzoni di Giovanotti. Che non cattura la felicità, che non è vero che i ricchi stanno meglio, e soprattutto, quella più sensata, che non cattura il “valore” dei consumi: se spendo 100 euro in un corso di formazione, o 100 euro in sigarette, ai fini del pil è la stessa cosa. Peggio, se brucio una foresta e spendo soldi per i pompieri, il PIL di quell’anno aumenta perché ho consumato ricchezza.

Le critiche sono valide, e sono stati proposti indicatori alternativi per il benessere, ma alla fine della fiera, tutti questi indicatori sono apparsi fortemente correlati al PIL, quindi per ora ce lo facciamo andare bene. Apparentemente chi è più ricco è davvero più felice.

Ora, il PIL misura il flusso di ricchezza annuo di una nazione sotto forma dei suoi consumi, il PPC (Pil Pro Capite) quello di un suo abitante, e si ottiene come PIL / numero di abitanti. Di solito quando pensiamo a nazioni ricche come gli USA o il Lussemburgo, pensiamo a nazioni con un PPC più alto del nostro, mentre le più povere ce l’hanno più basso. Le nazioni con un PPC più alto hanno individui (in media) più produttivi, che quindi possono permettersi più consumi di beni e servizi.

Ma cosa aumenta la ricchezza? Ci sono due fattori.

Il primo è quello ricordato da Fausto nel suo post, semplicemente il maggiore consumo. Potremmo avere più figli, bruciare più carbone, comprare più automobili, costruire più palazzi. Va da sè che questo modello è insostenibile, come sappiamo da almeno un paio di secoli. A un certo punto semplicemente finiremmo i soldi, le risorse, la capacità di prendere a prestito, e fine dei consumi.

Ma per quanto modello insostenibile, non ce lo siamo certo negati eh, anzi ci siamo buttati a capofitto. Oggi siamo 7 miliardi di esseri umani, una cifra che faccio fatica a immaginare. L’impronta ecologica degli italiani è il doppio del territorio, due Italie non basterebbero a reggere il nostro attuale ritmo di consumo. Soprattutto, le fonti fossili su cui si basa il nostro sviluppo non sono infinite, come non lo è la capacità dell’ecosistema terrestre di smaltire il nostro smog e i nostri rifiuti.

In questo senso stiamo già prendendo abbondantemente a prestito le risorse delle prossime generazioni, e i decrescisti hanno ragione, siamo troppi e basta. Eppure stiamo ancora crescendo (di numero). Su questa cosa ci torno dopo.

Per fortuna c’è un secondo aspetto della crescita, che nel mondo industriale è noto da almeno un secolo e mezzo: l’ottimizzazione. Abbiamo imparato a fare le cose meglio, con meno energia, materiali, manodopera.

Le automobili del dopoguerra avevano consumi per chilometro imbarazzanti. I primi computer occupavano un piano di un palazzo e avevano meno capacità di calcolo del mio telefono. Si sono liberati tempo energia e materiali per fare altre cose; possiamo compiere operazioni senza andare allo sportello, risparmiando tempo e benzina. E’ questo fare di più con meno, non l’aumento numerico, la crescita su cui dobbiamo puntare. Non tanto l’avere meno cose o meno scelta, ma averle con meno impiego di risorse.

Poi chiaramente dovremmo modificare le nostre abitudini in senso più rispettoso dell’ambiente: per portare le persone che porta un treno ci vorrebbero centinaia di automobili, quindi per dirne una va incentivato il trasporto pubblico a spese di quello privato.. e ci vogliono amministratori con la lungimiranza di fare questo tipo di operazioni, e elettori abbastanza maturi, informati, e disinteressati da eleggerli. Dovremmo vivere in un paese che forma tecnici in grado di capirla e di farla questa ottimizzazione, a livello industriale e procedurale, e non sfornare solo filosofi e creativi (non così tanti comunque). Dovremmo vivere in un paese con una cultura industriale e non solo del laboratorio artigianale, o dove gli unici eroi televisivi sono i cuochi.

Poi c’è il discorso della popolazione: in realtà ci siamo già spinti troppo oltre nel prendere a prestito alle generazioni future. Ci sono profondi squilibri: ci sono paesi dove la demografia è ancora fuori controllo, per la mancanza di pianificazione famigliare e la cultura contadina, e altri come l’Italia, la Germania e il Giappone che sono in pieno sboom di popolazione. Quando l’onda lunga del baby boom sarà passata, chi creerà i beni e i servizi che sono alla base della ricchezza? chi pagherà le pensioni future? un paese spopolato avrà la forza di mantenere la sua struttura sociale? L’immigrazione di questi anni conferma che la natura non tollera i vuoti. E non vale dire che i pensionati di oggi ci dovevano pensare prima: il pranzo è già stato mangiato e ora resta solo il conto.

I miei genitori mi raccontavano che negli anni ’60 era normale pagare con le cambiali: c’era grande fiducia nel futuro, e quindi nella propria possibilità di ripianare i debiti con i propri guadagni. Ora i guadagni si stanno prosciugando, ma restano le cambiali: chi ha in mente un cambio repentino farebbe meglio a tenerlo a mente.

E soprattutto c’è la grande incognita di cosa succederà quando si esauriranno le fonti fossili. In questo ottimo articolo sulla demografia, ci informano che in media ogni uomo moderno dispone dell’energia equivalente a 10 schiavi (per muoversi, per lavare e cucinare, per accendere le luci, ma anche quella consumata per costruire la casa dove abita etc.), il che ci fa immaginare quanto dovesse essere dura la vita in passato.

Al momento queste fonti fossili sono insostituibili e in attesa di soluzioni avveniristiche (la fusione nucleare?) non abbiamo la più pallida idea di cosa succederà quando finiranno, o meglio quando l’energia ricavata e quella per estrarle diventerà quasi uguale.

6 risposte a "Sui teorici della “decrescita felice”"

  1. La decrescita nel tuo immaginario è luddista, è una decrescita che tende al rozzo.
    Ma anche questo è opinabile: le società in cui c’è una crescita demografica esponenziale violenta tendono massimamente al rozzo: si consideri alla miseria, abrutimento, oscurantismo di società in esplosione demografica come Pachistan, Nigeria, Messico, IsraelePalestina, Iraq, Siria, …

    Le realtà di transizione nelle quali la decrescita viene giù in parte vissuta utilizzano la parte minima e buona della tecnologia (carichi dinamici nei sistemi energetici, reti collaborative, reti energetiche, cognitive, acquisti ecosolidali via mail-fogli elettronici, sistemi energetici articolati locali) e delle pratiche eccellenti e buone.

    > chi creerà i beni e i servizi che sono alla base della ricchezza?
    Le macchine.
    I processi tecnologici hanno automatizzato molti lavori ripetitivi e via via automatizzeranno lavori meno ripetitivi.
    Questo infatti sta creando masse sterminate di non occupati o di occupati precari, demansionati, etc.

    > chi pagherà le pensioni future?
    Questo però è un problema dell’assurdo sistema pensionistico e dei privilegi intergernerazionalmente criminali che sono stati realizzati proprio assumendo una crescita esponenziale redditi – produzioni – consumi – economia – lavoratori che, del tutto ovviamente, non è possibile in un mondo limitato.
    Questo è propri uno dei molti casi di paradigmi concettualmente patologici proprio perché basati su assunzioni di crescite esponenziali illimitate

    La fusione nucleare? Sarebbe l’ecocidio definitivo.
    Riporto le parole di Paolo Lambardi:

    “Se c’è una cosa che l’uomo moderno occidentale tecnoteistico ha saputo dimostrare è che quanto maggiore è la sua disponibilità di energia tanto più si può e si vuole dedicare alla distruzione e all’annientamento dei sistemi viventi, dal più semplice al più complesso (il pianeta). Una disponibilità infinita (almeno su tempi storici) di energia, come potrebbe essere ottenuta imbrigliando la fusione nucleare, porterebbe un aumento ancora maggiore dell’ingerenza umana nei suddetti sistemi biotici e le conseguenze le puoi immaginare da solo. E’ bello pensare che se mai dovesse avere un potere del genere l’umanità lo saprebbe gestire evitando di distrurre la vita sul pianeta, ma purtroppo l’analisi approfondita del comportamento della nostra specie, allorquando si viene a trovare in grado di usare nuovi potenti strumenti, fa pensare che si tratta di purissima utopia. La vita sul pianeta esiste da molto tempo, proprio perché non è mai accaduto che una qualsiasi specie potesse attingere a fonti infinite di energia.”

    Grazie per la citazione. 🙂

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  2. Ciao UIC, grazie a te della visita.
    Nel merito, quando ti leggo mi sembra che tu non stia parlando della “decrescita felice” ma di qualcos’altro, di un’utopia dove ci siano meno persone, più spazio, più tempo, più risorse. Ma la “decrescita felice” non è questo.
    Leggo da wiki: “I sostenitori del MDF ritengono .. si verifichi un incremento della qualità della vita materiale associata ad una diminuzione del PIL. Viene auspicato quindi l’aumento del benessere riducendo il PIL tramite autosufficienza e produzione in proprio”
    Questi sono davvero convinti che si possa stare meglio con meno beni e servizi, tu che si possa stare meglio con gli stessi beni e servizi ma con meno gente. Dovresti dargli un nome tuo, almeno si capisce.
    Poi sul disinnescare la bomba demografica siamo tutti d’accordo almeno dagli anni ’70, se vuoi ti dico come la vedo io: istruzione, sviluppo (ancora), cultura della contraccezione (ponendo fine per esempio alla delirante predicazione di una certa multinazionale con sede al Vaticano).
    Nota che lo sviluppo porta automaticamente all’arresto demografico introducendo la cultura della contraccezione, la consapevolezza delle donne, riducendo le gravidanze non volute.. quindi mi verrebbe da dire che è l’abbrutimento che porta all’esplosione demografica, non vice versa.

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    • Premetto che non esiste una ortodossia della decrescita

      > Questi sono davvero convinti che si possa stare meglio con meno beni e servizi,

      No.
      Il principio è quello di tornare al valore d’uso, di aumentare questo e di far diminuire le transazioni e le distorsioni (valore di scambio) che esse comportano.
      Il classico esempio descritto da Pallante in apertura di uno dei suoi libri è quello dell’autoproduzione di yogurt.
      Egli non ti dice che la tua dieta deve diminuire e devi mangiare meno yogurt.
      Egli osserva che se tu ti autoproduci lo yogurt tu e l’ambiente, avrete una serie incredibile di benefici (yogurt freschissimo, risparmio di denari, devi andare a vuotare la plastica di meno, senza rischiare di essere preso sotto dal TIR francese della Danone, yogurt anche gastronomicamente superiore, con l’Acidophilus che è il lattobacillo più salutare che è stato rimosso perché il gusto non è cremoso (!?)…) anche se ciò è una sciagura per il PIL (non usi un vasetto di plastica usa&getta, l’industria metalmeccanida che fa i TIR avrà meno commesse, consumerai meno gasolio, meno rifiuti di plastica inceneriti saranno meno diossina e nanopolveri in aria, quindi meno linfomi, mandi in rovina gli affari dell’economia dei farmaci antitumorali, etc. etc.).

      Altri studiosi, come Jorgen Randers, sottolineano che la chiave è nel ragionare in termini di risorse procapite: se la demografia diminuisce più velocemente del PIL – usiamo questa misura – che significa anche che l’impronta ecologica diminuisce, decresce per tornare nell’alveo della sostenibilità, tu avrai più risorse e servizi a testa.
      Abbandonare la mistica della crescita dei volumi, dei numeri, assoluti, ragionare procapitemente.
      Che è quello che interessa.
      Perché è veramente orribile sapere, per me magro della famiglia MortiDeFamis, già a rischio di inedia, che la dispensa è cresciuta del 2.5% nei rifornimenti di farina, del 3% in quella di fagioli, se poi la famiglia è aumentata del 20%, da 5 a sei, che è nato il quarto figlio.

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  3. > Egli non ti dice che la tua dieta deve diminuire e devi mangiare meno yogurt. .. se tu ti autoproduci lo yogurt tu e l’ambiente, avrete una serie incredibile di benefici
    Di nuovo, tu non sei per la “decrescita felice” ma genericamente per il consumo responsabile, e su questo siamo sullo stesso lato della barricata. Ti assicuro che sono assolutamente con te quando mi parli di ridurre l’impronta ecologica, di fare scelte consapevoli e di indirizzare le scelte di consumo verso cose veramente utili a sè e alla società.
    Con l’esempio dello yogurt, tu mi parli di ridurre le “esternalità negative” dello yougurt: imballaggi, trasporto etc. non di ridurre il PIL, visto che comunque dovrai comprarti le materie prime, e quello (verosimilmente poco) che risparmierai dalla trasformazione te lo spenderai verosimilmente altrove.
    Io nel mio piccolo mi sono comprato un gasatore e non compro più acqua minerale da quando ho visto quanti rifiuti plastici producevo. Certo ho le mie perplessità sul “farsi tutto in casa”: qual è il limite? devo farmi il sapone? devo farmi i vestiti? Credo francamente di potere utilizzare il mio tempo in attività più “a valore aggiunto”. Sempre nel mio piccolo, preferisco farmi piccoli lavori di elettricità e di idraulica piuttosto che pensare di tessermi un pantalone di jeans.

    > chiave è nel ragionare in termini di risorse procapite: se la demografia diminuisce più velocemente del PIL – usiamo questa misura – che significa anche che l’impronta ecologica diminuisce
    ma magari. Se PPC cresce significa che meno persone creano più risorse quindi hai – voilà – crescita. Di nuovo ci troviamo d’accordo, anche se tu premi di più sul lato riduzione persone, mentre io ho le mie perplessità che se oggi 100 persone fanno 100, domani 50 persone fanno ancora cento.
    Certo, c’è tutto l’infinito abbaiare sugli sprechi, ma se poi parli con la gente capisci che gli sprechi sono sempre quelli degli altri.

    Se non si fosse capito, questo articolo è stato scritto per quelli che sono realmente convinti che si possa essere più poveri (in termini di PIL) e contemporaneamente stare meglio. Al mondo c’è un paese dove il PIL non cresce da un paio di decenni, con il culto delle produzioni locali, del buon mangiare, del bel vivere, e dove si fanno film sulla grande bellezza. E’ pure in decrescita demografica, dove la gente aspira sempre più a fare il cuoco o il contadino, dovrebbe essere il paradiso dei decrescisti.

    Invece quel paese si chiama Italia ed è corrotto, depresso, devastato geologicamente compromesso, tanto che chi può emigra e pure l’immigrazione dal terzo mondo è in calo. Ecco, questo è il motivo per cui ho scritto questo post.

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  4. Ho letto tutto e lo trovo di grande interesse.
    Pero ti scrivo solo per chiederti di cambiare font e usarne uno più visibile. Questo mi sembra la 12 riga in basso che ti fa vedere l’oculista della visita della patente!!! Neppure con gli occhiali da lettura si legge!!!!

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